I cani hanno un’anima?

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Last Updated on 23/09/23 by wp_15467959

Molte religioni sostengono che l’anima non ha né età né corporeità, perché contiene in un certo senso l’essenza stessa del Creatore e quindi viaggia indenne attraverso la vita e la morte. Quest’ultima è per essa una forma di rinascita, nella quale l’anima ritorna alla sua fonte originale per rinnovarsi e avere una nuova vita. Volendo proporre un esempio, potremmo paragonare la vita al periodo della giornata in cui siamo svegli e la morte al momento del sonno, nel quale non smettiamo di esistere, ma ci ritiriamo temporaneamente dall’esperienza della veglia per poi tornarci al nostro risveglio.

Tuttavia, anche molti credenti – qualunque sia la loro religione – restano turbati dopo la morte del proprio cane perché spesso la loro fede sostiene che gli animali non hanno un’anima (anche se, paradossalmente, la parola “animale” contiene come radice proprio il termine “anima”) o che comunque lo spirito di un animale è troppo imperfetto per pensare a una sua sopravvivenza dopo la morte.

Queste teorie presentano però delle contraddizioni. Innanzitutto, diverse religioni ci propongono esempi di relazione tra esseri umani e animali che presuppongono la presenza di uno spirito in questi ultimi. Mi limito qui a un solo esempio: nel Medioevo Francesco d’Assisi pregava ad alta voce per gli uccelli, i quali smettevano di cantare per ascoltarlo, e predicava che tutte le cose che esistevano erano state generate dallo stesso Creatore, per cui le chiamava tutte “fratello” o “sorella”.

In secondo luogo, sostenere che l’anima esiste o che comunque sopravvive al corpo solo quando possiede un determinato grado di perfezione, genera un interrogativo davvero imbarazzante. Se si teorizza che l’anima esista e sopravviva solo se è presente un certo grado di evoluzione psichica e/o di conoscenze, dobbiamo allora supporre che anche per gli esseri umani portatori di gravi handicap psichici nulla sopravvive alla morte? E cosa pensare dei neonati, delle persone in coma, di tutti quegli uomini che hanno vissuto in epoche preistoriche nelle quali l’essere umano viveva in modo non troppo dissimile da quello degli animali selvatici, delle migliaia di persone che ancor oggi vivono in aree isolate del nostro pianeta, senza contatti stabili con la cosiddetta “civiltà”? Dovremmo ipotizzare che anche per essi nulla sopravvivrà alla morte?

Il tutto, infine, senza considerare che i cani rappresentano un esempio per molti versi unico nel mondo animale, in quanto non è contestabile che essi dimostrino nella loro vita non solo delle doti di fedeltà e dedizione assoluta nei confronti del loro amico umano, ma anche l’indubbia comprensione di centinaia di gesti e di parole di quest’ultimo, come sappiamo tutti bene e sperimentiamo quando, ad esempio, ci basta dire “scendiamo” per vedere il nostro cane che sembrava dormire balzare in piedi e dirigersi felice verso la porta.

Ancora più radicale è la posizione dei positivisti o materialisti, i quali sostengono che la psiche degli esseri animali, uomo compreso, non è altro che una funzione del cervello e di conseguenza termina quando il cervello smette di funzionare con la morte. Questa concezione materialista apre la strada a una visione desolante della nostra esistenza, che sostanzialmente sarebbe priva di ogni scopo, visto che se tutto termina con la morte del corpo non avrebbero alcun valore o scopo tutte le nostre esperienze in vita, i nostri studi, le nostre riflessioni, le sofferenze morali e fisiche e tutto quello che abbiamo vissuto. Non sarebbe solo un “fallimento” individuale, ma anche complessivo, perché se nulla sopravvive, qual è il senso di cercare di inseguire e insegnare ai nostri cari a perseguire il bello, il buono, il sapere, gli ideali, l’arte? L’intero Universo a questo punto non avrebbe alcun senso.

Come si vede, si tratta di domande esistenziali alle quali non è possibile dare risposte basate sulla sola razionalità e nulla e nessuno può dimostrare l’impossibilità della speranza di chi vuole ritrovare il suo cane ad attenderlo al Ponte dell’Arcobaleno.

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è tratto dal libro
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