Last Updated on 24/02/24 by wp_15467959
Si stima che nei paesi economicamente sviluppati, circa una famiglia su tre possieda un cane e la maggioranza di esse lo ritiene e lo tratta quasi o del tutto come un componente della famiglia: gli dà un nome personale, lo accarezza e lo abbraccia, gioca con lui, lo pulisce, gli assicura cibo adeguato e cure mediche a volte anche costose.
Una parte rilevante dei cani ospitati nelle case ha anche il permesso di salire su sedie e divani, di dormire sul letto del proprietario e riceve regali per il proprio compleanno[1]. Quasi sempre la morte del proprio cane provoca un disagio emotivo paragonabile alla perdita di una persona cara.
In diversi paesi non si usa quasi più la vecchia definizione di “proprietario del cane”, preferendo ad essa termini che non implicano il concetto di possesso del cane. Negli Stati Uniti, ad esempio, il termine owner (proprietario) viene sempre meno utilizzato, a favore di guardian (custode), caregiver (colui che si prende cura) o handler (gestore).
I motivi di questa eccezionale interazione dell’uomo con l’uomo sono diversi. Per cominciare, il cane è stato il primo animale ad essere addomesticato dall’uomo e nel corso di millenni la sua vicinanza all’essere umano e specifiche procedure di selezione – soprattutto nell’ultimo secolo – hanno portato a un’incredibile diversità morfologica e comportamentale tra le centinaia di razze oggi riconosciute e senza considerare gli incroci tra esse.
In secondo luogo, il cane assicura un amore incondizionato e senza limiti: 24 ore su 24, 7 giorni su 7 un cane è pronto a soddisfare le esigenze del suo amico umano, senza lamentarsi.
Abbiamo detto che il cane ci “assicura” un amore incondizionato, ma è meglio aggiungere che è anche in grado di esprimercelo. Uno dei segreti del binomio uomo-cane è infatti la straordinaria espressività dei cani, tanto nei volti che nel linguaggio dei loro corpi.
Nello stesso tempo, il cane cerca di capire l’uomo non solo attraverso la voce ma anche e soprattutto attraverso le espressioni del viso e il linguaggio del corpo: è il motivo per cui a volte i cani quando sono confusi ci guardano, al limite inclinando il loro muso, per cercare di avere maggiori informazioni[2].
Infine, i cani, soprattutto se cuccioli o di piccola taglia, stimolano nell’uomo un senso di protezione simile a quello che nasce in presenza di un neonato o di un bambino. D’altra parte, proprio come i bambini piccoli i cani non possono comunicare con noi verbalmente e hanno potenzialità limitate: vivendo in casa non possono procurarsi acqua o cibo autonomamente, non possono aprire la porta per uscire e, proprio come i bambini piccoli, se un giorno uscissimo di casa senza farvi più ritorno, morirebbero[3].
Addirittura, una moltitudine di aneddoti parrebbe avanzare persino l’ipotesi che i cani siano in grado di provare dolore per la morte di una persona che amavano, anche se scientificamente questa teoria è poco sostenibile, in quanto presupporrebbe che siano in grado di comprendere il concetto di morte, distinguendola da una semplice assenza.
Questo articolo
è tratto da
La fantastica storia del cane e del barboncino,
che ti racconta come, quando e perché sono nati il cane e la razza barbone.
[1] V. Voith, J. Wright, P. Danneman, Is there a relationship between canine behavior problems and spoiling activities, anthropomorphism, and obedience training?, in Applied Animal Behaviour Science, anno 1992, n. 34, pp- 263-72.
[2] Le ricerche sulla capacità dei cani di comprendere le espressioni emotive umane non sono arrivate a conclusioni sicure, nonostante l’utilizzo di tecniche piuttosto sofisticate come la risonanza magnetica funzionale e l’eye-tracking, vale a dire il monitoraggio dei movimenti oculari del cane.
[3] Questa associazione cane-bambino è stata accentuata attraverso la selezione di razze di taglia sempre più piccola e musi più piatti, come quelli dei carlini o dei bulldog francesi (bouledogue).