Last Updated on 23/02/24 by wp_15467959
Per molto tempo, si è ritenuto che i cani non vedessero i colori. La scoperta e l’utilizzo di tecniche di analisi più avanzate, hanno invece permesso di scoprire che i cani hanno una specie di visione bicolore, nella quale gli oggetti fondamentalmente appaiono blu-viola o verde-giallastro, senza la possibilità di distinguere il rosso dall’arancione o quest’ultimo dal giallo.
In quanto a nitidezza, noi vediamo meglio di loro in condizioni di luce sufficiente, mentre i cani vedono meglio di noi in condizioni di scarsa illuminazione, perché nella parte posteriore dell’occhio dispongono di uno strato riflettente di cellule (detto tapetum lucidum)che aumenta la loro capacità di vedere in condizioni di scarsa luminosità e che fa sì che i loro occhi brillino nella semioscurità o quando una torcia è puntata su di loro.
Nel complesso, possiamo dire che i cani prestano più attenzione ai movimenti degli oggetti negli ambienti che osservano, piuttosto che al loro colore o al loro aspetto fisico: è il motivo per cui, ad esempio, sono bravissimi a intercettare una pallina da tennis in movimento ma possono avere qualche difficoltà a individuarla in mezzo all’erba.
Le differenze tra la vista umana e quella canina non si fermano qui. I cani nascono “presbiti”, nel senso che non riescono a mettere a fuoco un oggetto che sia più vicino di 30-50 centimetri dai loro occhi, come capita a noi dopo la mezza età. Hanno, inoltre, una diversa frequenza di aggiornamento dell’immagine (quella che in termini tecnici è definita “refresh”), pari a circa 70-80 cicli al secondo rispetto ai nostri 24. Quest’ultima caratteristica spiega ad esempio perché nel passato i cani erano poco attratti dagli schermi televisivi. Nei vecchi televisori a tubo catodico, infatti, ogni secondo erano trasmesse circa 60 immagini, che a noi davano il senso del movimento, ma che il cane vedeva invece come singoli fotogrammi intervallati dagli spazi scuri che passano tra un fotogramma e l’altro. Con i televisori attuali le frequenze sono molto più elevate, per cui anche il cane ora vede l’immagine in movimento e non una serie di fotogrammi statici e quindi “partecipa” a volte con entusiasmo alle azioni che vede sullo schermo.
Un altro fattore che differenzia profondamente la vista dei cani da quella degli uomini è la posizione degli occhi. I nostri occhi si trovano sul viso in modo parallelo, quindi puntano esattamente nella stessa direzione e riescono a darci un campo visivo pari a circa 180 gradi fornendoci un’immagine tridimensionale. Nella maggior parte delle razze canine, invece, gli occhi si trovano ai due lati del cranio e offrono quindi un campo visivo di circa 240 gradi, in modo che rispetto a noi possono vedere anche parte di quello che succede alle loro spalle, ma non hanno lo stesso effetto tridimensionale.
Questo aspetto è stato particolarmente influenzato dal processo di selezione condotto dall’uomo. Portiamo solo due esempi, che chiariranno la situazione. Da una parte, l’uomo ha man mano selezionato razze con musi particolarmente affilati, come i levrieri, in modo da sacrificare la visione binoculare a favore di un campo visivo che fosse il più ampio possibile, arrivando a 270 gradi, in quanto queste razze sono state selezionate per individuare le prede. Dall’altra, più recentemente, si è stati spinti alla selezione di razze brachicefale, vale a dire dal muso piatto – come bulldog e carlini – per avere cani dal volto più simile a quello di un essere umano, ma penalizzando il loro campo visivo, che è non molto superiore a quello umano, e soprattutto provocando gravi problemi respiratori.
Questo articolo
è tratto da
La fantastica storia del cane e del barboncino,
che ti racconta come, quando e perché sono nati il cane e la razza barbone.